Il bracconaggio, la guerra dimenticata dell’Africa

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Lo scorso 30 aprile volte di fumo scuro, denso, si sono levate dal territorio keniota. Le disposizioni del presidente Uhuru Kenyatta sono state chiare: requisire l’avorio rilevato sul mercato nero e formarne enormi pire da destinare alle fiamme. La crescente domanda dei mercati asiatici sta portando gli elefanti all’estinzione. L’Africa intera sta fronteggiando una crisi ambientale drammatica. Un messaggio alla comunità internazionale andava lanciato. 

UN NUOVO MONDO – «Nessuno, e ripeto, nessuno, dovrà ottenere profitto dalla vendita di avorio, dal momento che questo commercio è portatore di morte per i nostri elefanti e per il nostro patrimonio naturalistico». È con queste parole, pronunciate nel Nairobi National Park, che il Presidente keniota ha dato il via a uno dei più grandi roghi di avorio della storia. Sono 105 le tonnellate di materiale consegnate alle fiamme, un quantitativo valso la vita a circa 7mila pachidermi. A esse si aggiunge una tonnellata e mezzo di corni di rinoceronte. Oggi la sopravvivenza di questi sovrani della savana è appesa a un filo. I rinnovati rapporti economici con il continente asiatico hanno riversato su tutto il territorio africano un’apparentemente inesauribile domanda di prodotti di origine animale. Gli impieghi sono di svariata natura: dall’intarsio delle zanne di elefante (antica tecnica di artigianato da conservare e tutelare secondo le Istituzioni cinesi), alla polvere di corno di rinoceronte (utilizzata nel campo della medicina tradizionale).

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