Tra dune di sabbia e altopiani rocciosi, montagne isolate e gole profonde, in quel territorio impervio e al contempo affascinante che è la Mauritania si trova uno dei luoghi più evocativi e suggestivi del Sahara Occidentale. Il suo nome è Chinguetti, oasi in lotta perpetua contro l’insabbiamento e l’oblio in cui due città e due anime – la “vecchia” e la “nuova” – si scrutano e si sostengono a vicenda.
Edificata tra l’XI e il XII secolo per soddisfare le esigenze delle carovane che transitavano attraverso il Sahara trasportando armi, stoffe, cereali e libri dal Nord e sale, gomma arabica, schiavi, oro e avorio dal Sud, Chinguetti ricoprì per secoli il ruolo di capitale religiosa dell’Islam dilagato a macchia d’olio grazie al commercio con il Maghreb, l’Arabia e l’Africa nera. Al momento del suo apogeo, nel XVIII secolo, a Chinguetti si contavano circa una dozzina di moschee e ancora oggi è ritenuta una delle grandi città sante dell’Islam al pari della Mecca, di Medina e di Gerusalemme.
Dichiarata Patrimonio UNESCO nel 1996, l’antica città carovaniera situata nel cuore dell’Adrar continua a essere un libro aperto sul passato religioso, economico e culturale di questa creatura di sabbia abbarbicata sulle dune dell’erg Ouarane che regala al visitatore momenti di singolare intensità emotiva come il risveglio pigro del mattino con il vociare dei bambini che vanno a scuola in sottofondo, la quiete delle prime ore pomeridiane appesantite dal caldo e il silenzio etereo delle notti stellate che restano impressi nel cuore di chi li vive come vecchie foto sbiadite e ingiallite dal tempo.
Ma la fama di Chinguetti va ben oltre quella di importante centro religioso.
In questo regno di sabbie e silenzi dove è impossibile lasciare impronte e dove l’orma del piede viene rapidamente cancellata dal vento, la memoria riveste un ruolo cruciale e Chinguetti – storicamente nota come città di eruditi – conserva tutt’oggi alcune biblioteche private che ospitano migliaia di manoscritti e testi coranici, i più antichi dei quali risalirebbero all’XI secolo.
Redatti su pergamene di gazzella finemente decorate con colori naturali da magnifiche miniature, questi tesori dell’oasi sahariana – custoditi all’interno di bauli di legno e lasciati in balia delle termiti e la sabbia – sono gelosamente tramandati di generazione in generazione e accanto a testi di natura prettamente religiosa annoverano compendi di scienza, letteratura, astronomia, diritto e matematica, giusto per citarne qualcuno.
Tra questi luoghi della memoria perpetualmente insidiati dalla sabbia e dal tempo, la Biblioteca Habbot – fondata nell’XIX secolo nella casa di Sidi Ould Mohamed Habbot, esponente di un’antica famiglia di eruditi e mercanti che ebbe un ruolo di rilievo nella diffusione del pensiero islamico nel Sahara e nel Sahel – si distingue nel mondo mauro per la sua ampia collezione (circa 1.400 opere tra studi coranici, trattati scientifici, religiosi, storici, letterari e linguistici) di cui è tuttora possibile ammirare la straordinaria perizia dei calligrafi e degli incisori medievali.
Un’altra biblioteca di grande interesse è la fondazione Ahmed Mahmoud che ospita circa 500 esemplari e accoglie il visitatore con un motto della saggezza africana divinamente espresso dalle parole del grande scrittore maliano Amadou Hampâté Bâ:
La conoscenza è una fortuna che non impoverisce chi la offre.
Peccato che queste biblioteche e il loro incommensurabile patrimonio culturale siano oggi in serio pericolo a causa del cambiamento climatico che non ha risparmiato la Mauritania e che attraverso le erosioni e le inondazioni dovute alla desertificazione galoppante potrebbe cancellare, come orme sulla sabbia, ogni traccia del tempo che fu.
Diana Facile
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