Se pensiamo al Giappone, una delle prime immagini che visualizziamo è probabilmente quella dei monaci buddhisti che tra ideogrammi fantasiosi e forme architettoniche di straordinaria bellezza vivono serenamente praticando la meditazione zen. Di fatto in Giappone l’influenza dello zen, che affonda le sue radici nella cultura del paese da tempo immemorabile, è tangibile – quando non addirittura palpabile - nella vita quotidiana dei suoi abitanti.
Visto che la peculiarità dei nostri viaggi è quella di immergerci il più a fondo possibile nella realtà dei paesi che visitiamo, andiamo a vedere per sommi capi che cos’è lo zen e in che modo si integra nella quotidianità dei giapponesi.
Nello zen – il cui nome deriva dalla parola sanscrita dhyana che significa meditazione – l’illuminazione non avviene tramite lo studio delle scritture o per mezzo di speculazioni metafisiche come accade in altri ambiti. Nello zen l’illuminazione nasce da un’intuizione che balena come un lampo nel corso della meditazione. Non è un percorso facile né tantomeno rapido – mediamente ci vogliono dieci anni di tempo – e richiede una disciplina ferrea, rigida e ben definita.
La dottrina zen, che giunse in Giappone dalla Cina nel XII secolo, è legata a un atto mistico e leggendario del Buddha. Si narra che un giorno un giovane discepolo portò al Buddha in dono un fiore d’oro chiedendogli di praticare il segreto della dottrina. Il Buddha lo prese tra le mani e alzandolo sopra la testa, iniziò a fissarlo in silenzio per indicare al discepolo che il segreto della dottrina non stava nella parola ma nell’intensa contemplazione del fiore stesso.
Lo zen non è una religione ma un’arte, una filosofia, una dottrina, che mira a liberare l’uomo da ogni presunzione intellettuale per condurlo, tra paradossi e botti improvvisi e inaspettati, alla via del subconscio e dell’illuminazione.
I seguaci dello zen, per raggiungere l’illuminazione, ricorrono a elementi della vita di tutti i giorni, integrandoli alla pratica della meditazione. Gli elementi principali sono tre: il tè, il tiro con l’arco e la pittura.
Il tè, che veniva usato dai monaci buddhisti per tenere sveglia la mente durante le lunghe ore di meditazione, si è nel corso del tempo ritualizzato sia nel modo di prepararlo che in quello di servirlo. Si tratta di una sequenza di forme ben definita che diventa una successione armonica di gesti volti a ripulire il tempo e lo spazio da tutto ciò che è insignificante o meschino. La preparazione della cerimonia – che si svolge all’interno di una stanza piccola ed essenziale affinché, una volta dentro, ci si senta subito purificati – avviene con grande cura dei dettagli nell’ansia di raggiungere la perfezione estetica.
Il legame tra lo zen e il tiro con l’arco radica nella seconda metà del secolo scorso quando venne tradotto - e ripubblicato in Giappone come Yumi to Zen - il celebre libro di Eugen Herrigel, Lo zen e il tiro con l’arco, ritenuto oggi una delle maggiori opere sulla cultura giapponese. Si tratta di una ginnastica fisica e mentale nella quale corpo e anima devono equilibrarsi alla perfezione, un rituale consolidatosi nei secoli grazie al rispetto rigoroso delle tradizioni.
Anche la pittura è intesa come via di illuminazione ed è un percorso di autoconoscenza, il modo per raggiungere piena consapevolezza di sé. Peculiarità della pittura zen è l’essenzialità che attraverso la tecnica di inchiostro nero sul bianco della carta si risolve in una monocromia che nell’infinita varietà di grigi compendia idealmente tutti i colori presenti in natura. La pittura zen insegna a chi la pratica a coltivare giorno dopo giorno l’equilibrio personale e l’armonia con la realtà circostante.
Partendo dall’esigenza di purificazione per raggiungere l’illuminazione, lo zen conferisce quindi significato religioso a semplici atti della vita quotidiana.
Diana Facile
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