Alla scoperta di Petra, dai Nabatei ai giorni nostri

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Una città rossa e rosa, antica quasi quanto il tempo… (1845, John William Burgon)

A 240 km da Amman e qualcuno in più da Gerusalemme, nella cornice naturale del Wadi Araba che si estende tra il Mar Morto a nord e il Golfo di Aqaba a sud, sorge uno dei tesori archeologici più importanti al mondo: Petra.

Scolpita sulla facciata di una montagna di roccia arenaria più di 2.500 anni fa, Petra è il must indiscusso di un viaggio in Giordania, e a ragion veduta. Iscritta dal 1985 nelle liste del Patrimonio UNESCO e annoverata tra le Nuove Sette Meraviglie del Mondo nel 2007, la Città Rosa del Medio Oriente – dal colore delle pietre dei suoi edifici – è l’emblema dell’unione tra la magnificenza onnipotente della natura e il genio umano.

Antica capitale dell’Impero Nabateo – che all’epoca comprendeva l’attuale Giordania, il sud della Siria, una parte di Israele e dell’Egitto e la zona nord-occidentale dell’Arabia Saudita – Petra è rimasta abbandonata per secoli (da cui l’appellativo di Città Perduta) ma in origine era un importante snodo commerciale tra Oriente e Occidente per il mercato delle spezie, dell’incenso e dei tessuti.

La sua posizione strategica e la presenza di sorgenti attorno alla montagna che i nabatei, maestri delle tecnologie idriche, sfruttarono per costruire tunnel, cisterne, dighe e serbatoi d’acqua, ne favorirono lo sviluppo facendone un vivace centro abitato, oltre che un’oasi lussureggiante dove gli stanchi viandanti del deserto si fermavano a riposare. Si stima che all’apice del suo splendore – attorno al I secolo d.C. – contasse con una popolazione di circa 30.000 persone e attirasse filosofi, studiosi e ricercatori illustri da ogni parte del Mondo.

Le facciate degli edifici, arricchite di sculture elaborate, testimoniano quanto fosse avanzata la civiltà dei nabatei e quanto fosse grande il loro potere commerciale. Sia i greci sia i romani, che ne invidiavano la cultura raffinata, l’architettura monumentale e l’ingegnoso complesso di dighe e canali, cercarono di conquistarla: riuscì a resistere ai primi, ma dovette soccombere ai secondi che la inglobarono nell’orbita dell’Impero, lasciandole un certo grado di autonomia in cambio di tributi elevati. Petra continuò così a prosperare fino all’apertura delle nuove rotte marittime che, privandola della centralità commerciale, segnò l’inizio del suo declino.

Nel IV secolo d.C. un terremoto rase al suolo gran parte della città e causò danni irreparabili in altre aree della zona, da cui la perdita d’interesse da parte dei romani e il progressivo abbandono dei suoi abitanti fino a quando, nel 551, l’arrivo di un secondo terremoto la danneggiò ulteriormente, consegnandola all’oblio.

L’esistenza di Petra tornò a palesarsi nel 1812 grazie all’esploratore svizzero Johan Ludvig Burckhard che viaggiava in abiti arabi sulla strada da Damasco all’Egitto e avendo sentito parlare di vestigia straordinarie nei pressi del villaggio di Wadi Musa, si presentò come pellegrino accompagnato da una guida locale: prendendo segretamente appunti e schizzi, attraversò la città consapevole di trovarsi tra le rovine dell’antica capitale nabatea.

Da lì a poco, Petra divenne un’importante tappa di pellegrinaggio e fonte di guadagni per i capi delle tribù beduine Bdoul che avevano continuato a vivere nelle caverne dell’antica città per preservarla dall’attacco dei predatori di tesori. La sua scoperta attirò fin da subito l’interesse di archeologi e studiosi, ma fu solo nel 1929 che ebbero inizio gli scavi ufficiali per portare alla luce l’immenso patrimonio della città che si credeva perduta: a distanza di quasi un secolo dall’inizio dei lavori, l’85% del tesoro di Petra giace ancora intatto, sepolto dalla sabbia.

Diana Facile

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