Diario di viaggio "Mauritania"

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Seguendo il vento che danza nel Deserto


Diario di viaggio in Mauritania dal 26 Dic al 06 Gen 2020

A cura di Letizia Del Bubba Tolomei

Direzione tecnica Viaggitribali.it


26.12.2019 Sto partendo in treno per Roma, con l’età è sempre più difficile emotivamente partire da sola! Una fragilità insospettabile che la vecchiaia porta insieme ai dolori alle ossa e ai chili in più! Ma basta che apra un buon libro e mi tuffi nella lettura perché la tristezza scompaia. Il libro mi porta altrove…Appena salita sull’aereo però non vedo l’ora di arrivare e di “mettere il naso” in questo nuovo paese. Le pratiche per il visto a Nouakchott sono molto lunghe, sono arrivati molti gruppi stranieri e ci sono solo due addetti! Tre ore di fila e poi, finalmente, dopo le 5 siamo fuori! Ci aspetta la guida, Alioune, un giovane berbero di venticinque anni, che si rivelerà molto gentile e disponibile, e che diventerà nostro amico, insieme ad Elbou, capo autista e capo cuoco, Mohamed, Abdul, Ahmed e Muhtar.

27.12 Il muezzin ha dato la sveglia. Dalla finestra della mia camera in hotel vedo case basse e chiare nella luce rosata dell’alba, ecco i primi suoni di un nuovo paese. Lungo una strada polverosa. Alcuni uomini e donne in velo rosa shocking, venditori di piccola merce. Due operai edili su un caseggiato in costruzione, i copertoni fuori l’officina di un meccanico, il via vai di un giorno qualsiasi. Scatto le prime foto. Percorriamo la strada asfaltata “la Route de l’Espoir” fino a Sangarafa, poi ci inoltriamo tra le dune arrivando a Modjera, nelle cui vicinanze allestiamo il campo. Il sole è già tramontato, non è assolutamente freddo e c’è un vento gradevole. I nostri nuovi amici ci preparano un’ottima cena. Col mio ignorato francese, chiedo se posso fare qualcosa per aiutare, mi mettono a sbucciare patate! Abdul si esercita con le nuove parole italiane imparate: grazie, prego. Stasera preparano anche il loro pane, cotto sotto la sabbia ardente di brace. Ottimo. Via verso l’altopiano del Tagant, solcato da valli con piccole oasi, palmeti e corsi d’acqua. Fuori uomini che lavorano nei campi e capre, che, scopriremo presto, in questo paese sono dappertutto! In queste zone, il capitale dei Mauri continua ad essere il bestiame. Lungo le strade più trafficate, che spesso sono piste sterrate, ci sono molti posti di blocco della Gendarmerie che controlla tutti i documenti di chi transita in auto. Elbou, che è sempre in testa alla nostra carovana, consegna ogni volta un foglio con l’elenco dei nostri nomi e passaporti. Sapremo poi che qui il controllo è molto stretto su chiunque venga da fuori di un villaggio, paese, città. Neanche il più comune pastore di capre sfugge! Poi il paesaggio muta in rocce scure, la pista in salita è molto accidentata e le jeep sobbalzano allegramente. Alla fine della discesa invece troviamo il piccolo lago con i coccodrilli del Nilo. Poveri animali, sono rimasti intrappolati in questa poca acqua quando il flusso del loro fiume si è prosciugato! Intanto l’ammortizzatore di una jeep si è rotto ma dicono non sia un problema! Sostiamo in un villaggio per fare il pieno. Bambini e bambine dagli occhi pungenti e sorrisi smaglianti, curiosi di noi come noi di loro. Dopo la scuola vanno alla madrasa e, a 14 o 15 anni, se non sono bravi, vanno a lavorare. In realtà mi sembra che qui inizino molto prima…In città abbiamo visto anche donne che lavorano, negli uffici dell’aeroporto, in banca, sui bus. In generale comunque le ragazze si sposano e si occupano della famiglia. L’accesso al mercato del lavoro per le donne non è semplice, mentre un altro grande problema è rappresentato dai matrimoni precoci. E le ragazze che si sposano, poi, lasciano la scuola. Qui comunque, il divorzio è previsto dalla legge, ma su richiesta del marito! Se lo desidera la moglie ma il marito rifiuta, niente da fare… E le donne divorziate, se non lavorano fuori casa, come qui spesso accade, sono mantenute o dai loro genitori, o dai fratelli e cognati…L’ex marito ha l’obbligo solo del mantenimento della prole. Come ha scritto Odette Du Puigaudeau in “A piedi nudi attraverso la Mauritania”, “Per quanto il Corano permetta loro quattro mogli, i Mauri praticano la monogamia, che però, data la frequenza e la facilità dei divorzi, diventa una specie di poligamia esercitata per tappe successive”. Ma io vedo le donne che lottano ogni giorno, in ogni angolo della terra, anche nei paesi più oscurantisti, per la libertà femminile. La più grande rivoluzione del XX° secolo, quella delle donne, nessuno può fermarla, neanche qui. Sempre riguardo all’istruzione, chi è bravo, soprattutto se maschio, può proseguire gli studi all’Università, gratuita, entro però i venticinque anni. ll perfezionamento universitario avviene o in Europa o, per chi può permetterselo, in Canada. Alioune ci fornisce queste informazioni sulla scuola mentre sostiamo per un pic nic che ha tutti i confort: sedie, tavoli, stoviglie, come ad una gita fuori porta! Poi visitiamo le rovine di Rachid, una grande città costruita dai Kounta, una tribù forse di origine berbera e sanarja, ortodossi islamici. Il castello fu occupato dai francesi. Il guardiano con le chiavi è fuori con le sue capre, ma i nostri amici riescono comunque ad aprire il cancello senza recare alcun danno! Muri con pietre rettangolari e decorazioni con pietre in verticale, così che l’aria filtri nel muro. Nel mondo non ci sono solo gli archi romani! Stasera al campo riceviamo un po’ d’acqua in piccole scodelle per toglierci la polvere sulla pelle. Per cena solita ottima zuppa di verdure, poi pollo con verdure e, ovviamente, l’immancabile tè, di cui si occupa esclusivamente Mohamed, che serve ben concentrato e zuccherato in piccoli bicchieri di vetro. Secondo le regole della loro ospitalità dovremmo berne tre bicchieri, o, come scrive Odette, quattro, ma io riesco a berne al massimo due! Prima dell’arrivo del buio riesco a fotografare la falce della luna con una stella.

29.12 Sostiamo alle dune di sabbia, morbide e cangianti col sole e con le ombre. Rari ciuffi d’erba di un tenue verde, ogni tanto spuntano dalla sabbia, orme di pneumatici solcano la terra, creando disegni. Dromedari e asini in giro, come mucche al pascolo! “La brousse -come la chiamavano i francesi- è quell’immensa distesa rigonfia di dune rosa o bionde, intervallata da sebka rossastre, vallate bianche dette goud, reg sassosi, agera pietrose, che ondeggia, disseminata di svariati arbusti, fra due deserti: quello dell’acqua, l’Atlantico, e quello delle sabbie nude, il Sahara. La traversa Dhar, il muro: così i Mauri chiamano le montagne dell’est” (…) Questa brousse, il Trab-el-Beidane, costituisce l’intera Mauritania” (ancora Odette). Breve sosta in un piccolo villaggio, begli uomini in strada con tuniche blu e nere, poche donne, tutte velate, in mille colori. Tanti bambini e bambine. Poi sosta ad un pozzo per prendere acqua che servirà a lavarci stasera. Riempiamo, una per volta, le varie taniche gialle, operazione che richiede un po’ di tempo. Gli asini intorno hanno annusato l’odore dell’acqua e aspettano impazienti il loro turno per bere. Oggi c’è molto vento, quindi pranziamo in una baracca lungo una strada polverosa, in un agglomerato di case. Il proprietario è stato molto gentile ad ospitarci. La pista continua ad essere insidiosa, infatti due jeep forano e anche l’ammortizzatore di un’altra auto “salta”. In neanche dieci minuti cambiano le ruote. Io siedo dietro, nel mezzo, nella jeep guidata da Alioune che ad un tratto rimane in bilico su una duna, quasi perpendicolarmente !. Tutte le altre sono scese, io rimango bloccata lì…Alioune mi chiede, sorridente, se mi fido di lui, gli rispondo di sì, naturalmente, ma ho ugualmente paura! Mi spiegano poi che le jeep sulle dune non si rovesciano perché, eventualmente, scivolano. E’ una consolazione saperlo! Nelle auto ovviamente, dove siamo in quattro, ci diamo il cambio per stare davanti. E quando siedo dietro, preferisco il posto centrale che mi permette di avere un’ottima visuale sulla strada, così da evitare il mal d’auto. Ma raggiungere tale postazione, o scendere dall’auto, con tutti gli zainetti posati in terra, richiede un po’ di acrobazie con almeno una gamba lanciata in aria per oltrepassare il sedile. Così Anna mi ha soprannominato “Ether” (Ether Parisi, sic!) Inizia a fare buio e non è prudente continuare il viaggio tra quelle rocce, appena troviamo uno spiazzo di sabbia ci accampiamo. Monto la tenda, vado a prendere il bagaglio ma quando torno è sparita! Marina ridendo mi dice che è volata via! La recuperiamo e la blocco col bagaglio dentro. Se continua questo vento forte sarà difficile nei prossimi giorni fare il campo! Dopo la cena, davanti all’immancabile falò, Alioune e altri due danzano al lento ritmo della loro musica. La tunica tradizionale maschile, draa, è molto ampia, comoda ed elegante, in genere quella sotto è azzurra, bianca quella che la ricopre. La lunga fascia in testa, chandorah, e il litham blu notte che scopre solo i grandi occhi, per difendersi dal sole, polvere, calore o freddo, rende gli uomini tutti “signori del deserto”.

30.12 Dentro il sacco a pelo ascolto il vento che sbatacchia le pareti di stoffa. Con la luce dell’alba scopriamo che il luogo dove abbiamo campeggiato è molto bello, incastonato tra le rocce. Di nuovo smontiamo tutto e riprendiamo il viaggio con sosta nel villaggio di Terghent, dove c’è una bella e nuova scuola. Ancora panorami di palme, sabbia e rocce. Altra sosta a El Manem, qui alcune donne hanno improvvisato un piccolo mercato artigianale: collane, teiere d’alluminio dipinte, piccole scatole. Faccio i primi acquisti. In un negozio qualcuno ha comprato delle caramelle e il proprietario del fondo fa mettere tutti i bambini e bambine in fila per distribuirle. Un bambino piccolo però rimane incastrato in terra, circondato dagli altri, lo aiuto ad uscire dal groviglio dei piccoli corpi, insieme a suo fratello più grande, venuto subito in suo aiuto. Consumiamo il pranzo in una capanna, sempre a causa del vento forte. Alioune ha lasciato i fari accesi nell’auto così che poi la jeep non parte. No problem, gli altri spingono…Ancora due ore di viaggio prima di arrivare in una valle tra alberi di acacia e alte dune. Mi allontano dal gruppo, mi siedo ai piedi di un pozzo e aspetto il tramonto. Questi sono i momenti in cui il silenzio e la solitudine mi sono necessari. Quanta bellezza al mondo! Poi vado al pozzo nel palmeto, dove una donna berbera tira su l’acqua, giro sul retro e inizio a spogliarmi del tutto, al che la signora mi chiede se mi “deshabiller” e, alla mia risposta affermativa, si volta per rispetto o, molto più probabilmente, per suo pudore. Che gioia l’acqua fresca! Intorno al fuoco leggo qualche mia breve fiaba di Natale. Ne ho scelte due che parlano dell’Africa, Alioune ne è entusiasta.

31.12.2019 Sempre più vento che, come dice Alioune, danza nel deserto, cioè cambia sempre direzione. Riprendiamo il viaggio, la mia jeep affonda nella sabbia, vari tentativi prima di riuscire a sbloccarci. C’è molta foschia, causata dal calore e dalla sabbia so levata dal vento. Sosta alle tende dei nomadi, khaima, che qui sono ovunque, e altri piccoli acquisti. Qualche khaima ha il generatore elettrico per un frigorifero. Sono tende ampie, alte, ben piantate nel terreno, e non volano via col vento! Sostiamo a Terjit perché dovrebbe arrivare il meccanico per riparare le jeep. E’ un villaggio di capanne e basse abitazioni. Passeggiamo in un palmeto con una sorgente ed un ruscello, ci sono altri turisti italiani. Nella strada principale, polverosa come tutte le altre, vediamo le donne che ci guardano curiose. Sotto una fresca tettoia di foglie di palma pranziamo, lì vicino c’è una fontanella così riesco a sciacquarmi la testa, togliendo un po’ di polvere. Col vento e il sole i capelli asciugano presto. Di nuovo piste di sabbia fino al prossimo campo. Qui montiamo anche la khaima più grande, dove ceneremo. Dopo poco arriva Riccardo, un ex fotografo di moda, romano, di mezza età, che ha lasciato la sua vita di un tempo e ha deciso di andare incontro alla sua rara malattia degenerativa, qui nel deserto, con la seconda moglie mauritana e le sue tre piccole figlie, dalla pelle scura e i capelli ricci. Qui organizza i tour per il turismo. Ha chiesto al presidente mauritano la cittadinanza, così da non dover ripetere ogni anno le pratiche burocratiche per il rinnovo del visto. Ovviamente si è convertito all’Islam, non so se con convinzione. Vive con la sua famiglia in una grande tenda coi nomadi, niente TV, solo un congelatore e internet, quando c’è connessione. In effetti ne vediamo molti di ripetitori nel deserto. Unico modo di comunicare velocemente e a poco costo in questo deserto, è il telefonino e, se c’è il collegamento a internet, whatsapp! Molte donne del suo campo sono venute per allestire un mercatino artigianale per noi. Intanto Elbou e gli altri hanno preparato il fuoco per la brace che occorre per cuocere sotto la sabbia, la capra! E così tutti insieme ceniamo sotto la grande tenda, Riccardo ci racconta qualcosa della sua vita, ma parlare è per lui faticoso. Sua moglie ogni tanto viene alla tavolata, non ha voluto sedersi con noi. Hanno sguardi molto amorosi una verso l’altro. Alla fine della cena distribuiamo i dolcetti che abbiamo portato: amaretti di Saronno di Lucia, i miei ricciarelli di Siena e i biscotti libanesi di Clelia. Stasera fa freddo, siamo più a nord, e c’è molto vento. Verso le dieci e mezzo andiamo a dormire. L’ultima notte di quest’anno è sotto il cielo stellato che ci accompagnerà ogni giorno, una magica compagnia!

01.01.2020 Mi sveglio presto perché il vento è riuscito a spostarmi al centro della tenda! Impossibile continuare a dormire così mi vesto, preparo il bagaglio e, appena vedo luce nella tenda della cucina, entro dentro e trovo i nostri amici che preparano la colazione. Mi offrono del caffè bollente, quello che ci vuole per svegliarmi del tutto. Elbou recita meticolosamente la sua preghiera mattutina, cantilenando le sacre parole del Corano. Quando non possono lavarsi con l’acqua, usano un po’ di sabbia. Lo fanno tutti i giorni, la regola sarebbe per cinque volte, ma, ovviamente, esigenze di lavoro esentano i fedeli da tale obbligo. Inoltre, quando sono in viaggio nel deserto, è ammesso “rompere il Ramadan”, i giorni saranno recuperati in seguito! Nelle moschee entrano solo musulmani e solo uomini, perché, ci ha detto un uomo, “tanto le donne pregano in casa!”. Dopo la colazione, i nostri amici si lavano sempre i denti usando un bastoncino di adress, una pianta aromatica. La maggior parte del gruppo passeggia lungo il wadi dove abbiamo campeggiato, io invece mi diverto ad aiutare gli uomini a smontare la grande khaima che è servita ieri sera per la cena: lunghi e forti picchetti in ferro, alto e robusto palo centrale in legno, il grande telone colorato è formato da varie pezze di stoffa cucite insieme, è molto bello. Poi carichiamo tutto sulle jeep. Ancora le dune dell’erg Ouarane, vento e sabbia dappertutto, nell’aria e nei nostri corpi! Le jeep sfrecciano ancora sul letto di un fiume in secca, uno wadi. Arriviamo a Chinguetti e pranziamo nella tenda di un ristorante, ma coi nostri cuochi e le nostre provviste. I rapporti tra gli uomini qui sono molto cordiali, probabilmente si conoscono da tempo, ma sembra che la gentilezza tra di loro, sia la regola dominante. “Labes? Non sei malato? Come ti va? Bene, grazie a Dio! Come stanno i bambini? E la famiglia? E gli amici? E la gente dell’accampamento? Gli animali?...Labes alikum, ‘hamdu lillah! Nessuno è malato, sia lode a Dio! Che Lui ti allunghi la vita, che ti faccia salire di rango, che confonda chi ti invidia! Ogni domanda, ogni augurio si ripeteva parecchie volte”.(parole di Odette). Alioune ha fatto aggiustare le ruote forate, noi girovaghiamo per la città. Donne e uomini organizzano subito un mercatino artigianale. Alcune bambine mi portano nelle loro boutiques! Ad un crocevia c’è anche un piccolo mercato di frutta, verdura e carne, tutto pesato con una vecchia stadera. Chinguetti è uno Ksar medievale, fu edificata tra l’XI e il XII secolo per soddisfare le esigenze delle carovane che transitavano attraverso il Sahara trasportando armi, stoffe, cereali e libri dal Nord e sale, gomma arabica, schiavi, oro e avorio dal Sud, e ricoprì per secoli il ruolo di capitale religiosa dell’Islam che si era propagato grazie al commercio con il Maghreb, l’Arabia e l’Africa nera. Nel XVIII secolo, a Chinguetti si contavano circa una dozzina di moschee e ancora oggi è ritenuta una delle grandi città sante dell’Islam al pari della Mecca, di Medina e di Gerusalemme. All’interno c’è anche una fortezza della legione straniera. Dichiarata Patrimonio UNESCO nel 1996, nota come città di eruditi, conserva tutt’oggi alcune biblioteche private che ospitano migliaia di manoscritti e testi coranici, i più antichi dei quali risalirebbero all’XI secolo. Purtroppo occorrerebbero fondi per la conservazione dei volumi e per rendere accessibili al pubblico più biblioteche. Il grande scrittore maliano Amadou Hampâté Bâ ha scritto: La conoscenza è una fortuna che non impoverisce chi la offre. Il proprietario di una di queste biblioteche che, da bravo anfitrione, ci illustra i volumi, dice che la memoria è indispensabile per un popolo. Aggiungo che la memoria, come la bellezza, dovrebbe essere difesa e resa disponibile a tutte le donne e gli uomini di questo mondo. Ci illustra, orgoglioso, il tesoro che la sua famiglia custodisce da generazioni: disegni e antichi manoscritti. Questa città, forse ai nostri occhi occidentali “trascurata”, per me ha un’atmosfera di antico e del tempo dilatato. Piccole porte azzurre, squarci di colori sulla sabbia che domina sui muri, nelle case, nelle moschee. Ancora bambine e ragazze curiose: Fatima, Aziza, mi prendono per mano e mi portano in giro. Le strade sterrate che attraversano la città sono pulite, ma ai lati sorgono cortili pieni di bottiglie di plastica! Per ora hanno proibito la vendita dei sacchetti! Io comunque conservo sempre le mie cicche e le brucio poi la sera nel falò del campo! Saliamo in cima all’alta duna che domina la città, ma c’è troppa foschia per apprezzare il panorama. Mohamed però ci prepara il tè alla menta per consolarci! Arriva un altro gruppo di turisti, tra autisti si incitano ad arrivare in cima senza affondare nella sabbia. Cavalcare velocemente una duna è una questione di “orgoglio professionale”. Visto che in hotel l’acqua è fredda, perché il sistema elettrico funziona male, il gestore ci ospita nella doccia della sua casa, dove ci accompagna Alioune! La sua camera è ampia, ombreggiata, con nicchie in muratura nelle pareti, colme di libri. Il soffitto ha travi in legno e palme intrecciate. Morbidi tappeti, un ampio letto con cuscini e coperte dai colori del deserto. Un gusto raffinato e squisito. I nostri “nuovi amici” sono uomini che guidano tutto il giorno le auto su piste impossibili, poi ci preparano colazione, pranzo e cena, e smontano e rimontano il campo ogni giorno…Se in Italia qualcuno mi dirà che “gli africani non hanno voglia di lavorare”, leit motive di ogni imbecille, gli stacco un orecchio a morsi!

02.01 Stanotte ho dormito come un ghiro, senza il vento a sconquassare la tenda! Partiamo per le dune, ormai nostre amiche, e sostiamo per l’immancabile tè di Mohamed prima di arrivare a Wadane, in un campo con khaima e casette. Decidiamo di cenare e pernottare lì, dato che il vento è molto forte. All’entrata del campo si è già formata una fila di donne e bambine che vendono i loro prodotti artigianali. Guardo, osservo, scelgo qualcosa. Un piccolo approccio e le donne si fanno fotografare. Poi una di loro inizia a suonare un tamburo, e a gridare il loro verso beduino, un bel ritmo, ed io, che in quel momento sono sola, inizio a ballare! Le donne sorridono, le bambine mi guardano stupite. Lasciare libero il corpo di muoversi a quel ritmo è tonificante, dopo le tante ore sulle jeep! Danzo solo per me, per la mia gioia. Andiamo a Wadane, o Oudane, antica città fortificata. E’ situata sull'altopiano dell'Adrar, a nord-est di Chinguetti. Venne fondata nel 1147 dalla tribù berbera Idalwa el Hadji e divenne ben presto un importante tappa per le carovane nonché centro di commercio. Una stazione di posta portoghese venne stabilita qui nel 1487, ma la città subì un netto declino nel XVI secolo. La vecchia città (patrimonio dell'umanità), nonostante sia in rovina è ancora sostanzialmente intatta, mentre resiste anche un piccolo insediamento moderno. Mura, pietre, archi in sequenza, feritoie. Un susseguirsi di anfratti e ampie vedute sul palmeto sottostante, ricco di datteri. La guida, Bakai, ci spiega ogni cosa, in francese, che io capisco poco, ma non importa. In cima ci aspetta un’altra piccola biblioteca privata, di un uomo, ex maestro, esperto di testi coranici, attualmente fa psicomotricità a soggetti disabili. Ha i lineamenti del viso molto fini e la pelle più chiara degli altri uomini, i capelli ingrigiti, un’aria elegante. Mentre ci mostra i suoi tesori suo figlio, con uno splendido viso dai grandi occhi, ripassa i compiti. Antiche mappe di viaggiatori portoghesi, illustrazioni con figure geometriche colorate. Nella parte nuova della città ci sono ancora abitanti. Immancabili le donne artigiane che espongono i loro lavori, bambini, bambine e capre. Questa città è molto suggestiva. Ai primi di novembre ci sarà un festival dedicato alle varie arti, sarebbe bello tornarci! Scendiamo al palmeto e troviamo il pranzo pronto! Stanotte il gruppo dormirà nelle casette, io invece, in una bella khaima bianca, spaziosa, con soffici tappeti in terra e, cosa più importante, ben fissata al terreno! Basta bloccare la stoffa all’entrata con delle pietre e sabbia e il vento non entrerà, nel sacco a pelo non sarà freddo, anche perché Enrica mi ha prestato una copertina di pile!. Girovaghiamo un po’ per il villaggio, fuori dal nostro campo e poi, cena nella grande tenda. Stasera per l’occasione, di nuovo la capra, verdure, riso e luxume, una specie di chapati, ottimo. Con noi è anche il capo dell’accampamento, un omone alto, con mani e piedi enormi. Qui non si dà la mano ad una donna, come saluto. Con la mano destra gli uomini si toccano il cuore e accennano ad un piccolo inchino. Canta al ritmo dei tamburi suonati dalle donne. Infatti si tuffano nelle danze! Per l’occasione Elbou ha indossato l’ampio ed elegante abito maschile, celeste chiaro, con ricami in oro! Poi mi invita a ballare le loro danze, difficile rifiutarsi anche se questi ritmi lenti mi sono sconosciuti, poi Clelia e Rosalina. Appena posso ritorno seduta ma una bambina di neanche quattro anni si alza e inizia a ballare, poi punta proprio verso di me e mi prende per mano. Altre bambine si uniscono e poi, finalmente, si alzano le donne dell’accampamento, e quindi danzo con loro. Clelia fa il trenino!

03.01 Sosta al forte Saganne, costruito negli anni Ottanta e servito da set cinematografico per un film con Depardieu e Catherine Deneuve. Poi alcune incisioni rupestri di cacciatori e animali. Arriviamo ad Atar, la città dove sono nati tutti i nostri amici mauritani, capitale dell'Adrâr, e ci tuffiamo nel mercato. Io preferisco girovagare da sola, trovo il tè da acquistare, negozi di indumenti maschili bianchi e celesti appesi, spezie, frutta, saloni di bellezza femminili che pubblicizzano improbabili capigliature bionde! Barbieri per uomini e, in un locale poco illuminato, alcune donne che si fanno dipingere le mani e i piedi con l’hennè! Purtroppo non c’è il tempo per farmi fare i loro ricami sul mio corpo! Consumiamo il pranzo in un villaggio alla periferia della città, lì abita la zia di Alioune che ci ospita in una grande stanza. Partenza per il Tayarret, ancora onde di dune che, a differenza di quelle marine, si muovono lentamente. Costeggiamo la lunga ferrovia e, ormai al buio, arriviamo al monolite di Ben Amira. Qui cerchiamo di montare il campo ma alcune piccole tende sono rotte così in cinque dormiamo nella grande tenda dove prima consumiamo la cena, a causa del vento forte. Oggi pomeriggio l’auto dove sedeva Deanna ha fatto un salto un po’ troppo alto così che alcune hanno mal di schiena. Nonostante tali avversità circola molta allegria nel gruppo, e al pensiero che possa accaderci qualche altro guaio, tipo il crollo in testa del palo di legno della khaima…ipotizzo uno tzunami in riva all’oceano per domani sera! Stasera Elbou ha cucinato un meraviglioso couscous, io ho aiutato in cucina a tagliare le verdure!

04.01 Nella khaima abbiamo dormito benissimo, sentivamo il vento ma non c’era il rischio che la tenda si accartocciasse sopra i nostri corpi! A 5 km c’è un altro monolite, il Ben Aicha. Secondo la leggenda, all'inizio dei tempi, Ben Amira - il monolite, era sposato con una dei suoi parenti, Ben Aicha ed infatti i due monoliti erano un tempo un unico blocco di pietra. Al ritorno da un viaggio, Ben Amira sorprese Ben Aicha tra le braccia del suo amante. Infuriato, la spinse via. Ben Aicha rimase sola con la sua cameriera, condannata a osservare da lontano il suo ex marito arrabbiato. Queste donne infedeli…chi sa se il matrimonio con Ben Amira era stata una scelta di Ben Aicha…Le leggende e i miti, in tutto il mondo, sono state create e raccontate dagli uomini, a loro “immagine e somiglianza”. Proviamo a raccontare un’altra storia: “Ben Aicha era innamorata di un uomo ma la sua famiglia l’obbligò a sposare il suo parente, Ben Amira. Ma il suo amore per l’altro era troppo forte, il marito li scoprì e uccise il suo amante. Ben Aicha allora, distrutta dal dolore, rifiutò di vivere con un tale marito crudele e se ne andò a vivere lontano con la sua amica d’infanzia”! Passeggiamo ai piedi del monolite Ben Aicha dove, dal dicembre 1999 fino al gennaio 2000, per un mese, ci fu un simposio internazionale di scultura. Sedici artisti si riunirono per promuovere la pace nel mondo. L'evento riunì artisti africani provenienti dal Burkina e dalla Costa d'Avorio, nonché da Italia, Belgio, Francia, Irlanda, Canada, Stati Uniti, Polonia, Armenia, Kazakistan e Cina. Ora sembra un museo a cielo aperto: volti di donna, una teiera, fili metallici che ricordano una tela di ragno, sospesi tra le rocce, balene…Questo è un luogo quasi magico, come se la sacralità volteggiasse nel vento del deserto! Ricorda il monolite Uluru in Australia. Riprendiamo il viaggio e vediamo il lunghissimo treno che trasporta il ferro e le cisterne d’acqua per rifornire i vari villaggi che sorgono lungo le rotaie. Ci dicono che questa è una zona anche di estrazione dell’oro… In uno di questi villaggi sostiamo per il pranzo che consumiamo sulle stuoie in una stanza messa gentilmente a disposizione da un’anziana donna a cui diamo un analgesico per il mal di testa che l’affligge. Faccio un massaggio alla schiena di Deanna, ancora dolorante. Questi sembrano villaggi fantasma, qualche capra, un cane, una gallina, pochi bambini, poche persone, casupole basse e polvere dappertutto. Arriviamo al campo tendato con le khaima in riva all’oceano atlantico, così diverso da quello visto in Portogallo! Qui è calmo, dal colore chiaro, sembra che la sua forza selvaggia sia sopita. Il 10 dicembre, a largo di queste coste è naufragato un barcone contenente tra le centocinquanta e le centottanta persone, cinquantotto di loro sono morte. Erano partite il 27 novembre dal Gambia, erano giovani uomini tra i 20 e i 30 anni, e volevano raggiungere le isole Canarie. Ottantatre di loro si sono salvati nuotando a riva, e sono stati assistiti. Il ministero dell’Interno mauritano ha parlato di “una tragedia conseguente al fenomeno dell’immigrazione clandestina che decima la gioventù africana” e ha lanciato un appello “ad unire gli sforzi per porre fine a questa spirale mortale” . Ma come si fa a bloccare i sogni o la ricerca di salvezza da bombe e fame? Gli uomini e le donne africane non possono venire legalmente in Europa neanche per turismo. E perché un passaporto africano non ha lo stesso valore di un passaporto europeo? Quale entità superiore decide su la libertà delle persone? Nel campo fare la doccia, anche fredda, è impossibile, perché non c’è acqua! Con una spugna e l’acqua del bidone dei gabinetti riesco a lavarmi un po’. Stanotte dormo con altre quattro compagne di viaggio, stasera gradisco la compagnia. Ogni giorno amo questo viaggio sempre di più. Non immaginavo che questo paese e questo deserto fosse così ammaliante. Forse perché qui il tempo è misurato diversamente, perché l’essenzialità e, a volte, l’ostilità del paesaggio, rende ogni minuto più intenso. E’ quasi il nulla, e proprio il nulla ci calamita e ci fa sentire vive. Mi allontano dalle tende e dai rumori umani e mi dirigo in riva al mare. Questo sciabordio, così familiare per me, stasera invece, abituata al rumore del vento che danza, è così nuovo! L’ultima notte sotto le stelle, la luna crescente ora è quasi a tre quarti. Vagano i pensieri, oscillano le immagini. Cosa sarò riuscita a catturare con la macchina fotografica piena di sabbia? Elbou sta arrostendo il pesce dell’oceano sulla griglia, e sta friggendo anche le patate! Alcune compagne di tenda stanno giocando a burraco, ogni sera prima di dormire non rinunciano mai alle loro partite. Altri sono seduti intorno al tavolo aspettando la cena. Io scrivo, così cerco di riordinarmi le idee.

05.01 Ancora dune, naturalmente, ma queste degradano dolcemente verso l’oceano. Percorriamo la battigia con i gabbiani e qualche pellicano che si alzano in volo al nostro passaggio. E’ tutto un volteggiare di ali sulle nostre teste e suoni marini. E’ molto divertente fotografarli. Qualche barca di pescatori appare vicino le rive. Pranziamo in riva al mare, con tanto di sedie, perfino il tè viene servito in riva all’oceano. L’acqua è alquanto fredda, e non fa venire davvero voglia di fare un bagno. Poi arriviamo vicino al tratto di spiaggia dove ogni sera, tornano i pescatori con il loro pescato. Tirano le loro barche di legno, pesanti e colorate, a riva. C’è sempre un uomo che dà il tempo agli altri, come nei vogatori. E donne che aspettano, coi bambini. Molti ragazzi giocano a calcio e ascoltano musica con l’hiPhone. Qui hanno tutti la pelle molto nera, discendono dagli schiavi africani. Una ragazzina in pantaloncini corti e attillati e canottiera, gioca a calcio con dei ragazzi! Chiedo poi spiegazione e mi dicono che la popolazione nera, anche se musulmana, ha altre usanze, i matrimoni misti sono ammessi e visti di buon occhio. Scatto molte foto tra i riflessi del mare. Per stasera hanno finito, domani ricominceranno da capo e così tutti i giorni per l’intera loro vita. La crisi del comparto della pesca è peggiorata da quando, nel 2006, la Mauritania, in cambio di una riduzione del debito pubblico, ha venduto all’Unione Europea i diritti di pesca, favorendo così una nuova forma di colonialismo. Come evidenzia Slow Food, i pescherecci industriali assumono e finanziano i pescatori locali e il pesce è surgelato e trasferito altrove per la lavorazione, principalmente nel nord dell’Africa e in Europa. Queste pratiche hanno forti ripercussioni non solo sul pescato, ma anche sulle tradizionali attività legate alla produzione di bottarga. Questo cibo pregiato era un tempo lavorato diffusamente dalle donne Imraguen. Gli Imraguen della Mauritania si differenziano notevolmente dagli altri gruppi sociali del paese “fatto di sabbia e di pietra”, non solo per le loro origini, una fusione tra antichi Berberi, misteriosi indigene e neri, ma anche per la loro attività fortemente specializzata nella pesca. Per questo gli Imraguen sono stati spesso considerati e trattati come paria. Sul piano commerciale però potevano contare su una grande quantità di pescato, almeno sino a qualche decennio fa. Le donne Imraguen sono brave a lavorare le uova di muggine, che diventano la nota “bottarga” dopo essere state sottoposte a salatura, pressatura ed essiccazione. Il termine bottarga sembra che derivi dall’arabo butarikh, che significa “uova di pesce salate”. Forse questa specialità delle donne Imraguen nasce proprio da atavici influssi berberi. C’era un tempo in cui si diceva che gli Imraguen fossero addirittura in grado di comunicare con i delfini che stazionavano nelle acque davanti ai loro villaggi e che questi li aiutassero nella pesca, intercettando i cefali e spingendoli nelle reti. Oggi l’economia locale sopravvive grazie alla produzione della bottarga di muggine da parte di queste donne, un preziosissimo savoir-faire locale che l’Ong localeMauritanie 2000 ha contribuito a preservare, in collaborazione con Slow Food. Soukernya Mint Ely, infatti, una donna di 39 anni, ha sposato il più ricco ed influente uomo del paese ed è la sola donna che non dipende dai pescatori e dai commercianti di pesce. Gestisce un accampamento per turisti e ha fondato una cooperativa coinvolgendo anche altre donne nella produzione di tistar (pesce essiccato) e bottarga. Sono prodotti di lusso e stanno risollevando l’economia del villaggio.. Nonostante secondo la vecchia tradizione lavorare per una donna sia considerato disdicevole, qui il contributo femminile all’economia locale è diventato determinante. Come sempre, le donne vanno dappertutto! Dopo una scrosciante doccia in hotel nella capitale, andiamo in un ristorante dove hanno preparato un ottimo piatto a base di calamari, riso e verdure. Incredibile a dirsi ma questa volta Elbou ha sbagliato strada! Ringraziamenti e saluti, lasciamo le varie buste con le mance, scherzi, foto ricordo.

06.01.2020 Sveglia alle 4, i nostri amici autisti ed Alioune ci accompagnano in aeroporto, dove solo dodici giorni fa ci eravamo conosciuti. Siamo tutti un po’ commossi, loro domani riprenderanno il lavoro con altri turisti. Io mi conservo i ricordi. In aereo sorvoliamo il deserto. Ritroviamo il suo colore, il suo oro dei granelli di sabbia che danzano nel vento. Mi manca l’intensità dei giorni vissuti qui, in aereo non sento il vento ma parole su capi firmati e partite di calcio. Se gli uomini del deserto riescono a stare lontani dalle loro dune e dal vento, devono avere sicuramente seri motivi per emigrare in Europa. Posso capire Riccardo, che ha deciso di rimanere qui, in un momento particolare della sua vita. Ma lui è un uomo, le cose sarebbero molto diverse per una donna… Io sono comunque contenta di essermi immersa per dodici giorni in questo angolo di mondo dove il tempo “ è una categoria molto più flessibile, aperta, elastica, soggettiva” come ha scritto Ryzard Kapuscinski, che mi ha dato forti emozioni e incontri importanti.

Letizia Del Bubba Tolomei



Un grazie sincero alla viaggiatrice e fantastica report di viaggio Letizia.

Foto di Letizia Del Bubba Tolomei su gentile concessione a Viaggitribali

Viaggitribali Tour Operator

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