IRAN 2016
“Sono partita non per conoscere la paura, ma per verificare il contenuto di questi nomi e per sentire sul mio stesso corpo la loro magia. (…) i nomi sono molto di più che indicazioni geografiche, i nomi sono suono e colore, sogno e ricordo, mistero, magia “.
Così scrive la scrittrice e viaggiatrice svizzera Annemarie Schwarzenbach, quando parte per l’Afghanistan in automobile con la sua amica Ella Maillart. (1). Ed anch’io sono partita per verificare la magia di certi nomi, Isfahan, Persepoli, Shiraz.
Teheran ci appare come una città caotica, senza alcuna pianificazione urbanistica, si costruisce ovunque. Per il traffico non esistono regole, precedenze, segnali stradali. Attraversare la strada è un incubo, come a Saigon, ma qui non ci sono motorini! Alla fine di ogni strada si scorgono in lontananza le cime delle montagne dell'Elburza, chiamata la “stella polare di Teheran”!
Visitiamo il Palazzo Golestan, dai mille specchi di ogni dimensione che ricoprono le pareti, facendo così sfuggire gli angoli delle sale, in un continuum di rimandi di immagini e spicchi di luce. Il museo dei gioielli, uno sfarzo inaudito di ricchezza, col famoso Trono del pavone, su cui sedeva lo scià, adornato da oltre ventiseimila gemme!
Ma il vero gioiello è il museo archeologico iraniano, con molti reperti ritrovati a Persepoli, come il bassorilievo della sala delle udienze raffigurante Dario I° del VI° sec. a.C., un fregio in piastrelle smaltate della sala delle udienze dell’Apadana e la famosa iscrizione di Dario I° in tre lingue (persiano antico, accadico ed elamita). Inoltre alcune tavolette con la scrittura cuneiforme che ci ricorda da dove provengono le nostre lingue indoeuropee!
Per andare al ristorante prendiamo la metropolitana, con vagoni separati per uomini e donne. Rispettare tale divisione non è obbligatorio, ma è praticata da tutte e tutti. I “nostri” uomini volevano salire con noi ma li abbiamo scacciati con “Sciò, sciò” tra le risate delle iraniane!
Ancora non ci siamo abituate allo hijab in testa cioè il velo, che io, da brava toscana ho subito soprannominato “il cencio” . Dobbiamo indossarlo sempre, in bus, perché “la polizia morale” è sempre in agguato, in hotel per andare a fare colazione e spesso ce ne dimentichiamo così da dover correre in stanza a prenderlo, e pure per fare la doccia se il bagno è fuori dalla camera, una vera scocciatura!
Usciamo dalla capitale per recarci a visitare il Mausoleo di Khomeini nella città santa di Qom, dove sorge la Moschea di Fatima Masumeh, luogo sacro per eccellenza che impone, a noi donne, di indossare il chador! Sembriamo tanti pipistrelli!!!! Ci guida una volontaria che offre questo servizio di interprete alla sua comunità, ha due figli maschi, grande onore, lavora ed è completamente coperta dal chador nero, con un copri-polsino per non lasciare neanche un centimetro di pelle scoperta. Ha un viso aperto e intelligente. Come ha detto più volte la giornalista Giuliana Sgrena “io sono contro il velo, non contro le donne che lo indossano!” Procediamo per Kashan e il Giardino di Fin. E’ interessante osservare la moltitudine di persone che lo frequentano, soprattutto donne, di ogni età, che possono rinfrescarsi i piedi nelle sue mille vasche di ogni dimensione.
Kashan, città oasi, ci sorprende con le sue case per i mercanti, le torri del vento, per far circolare l’aria fresca tra i vari piani, i cortili, i vetri multicolori e i muri in fango. Il viaggio prosegue per Abyaneh, villaggio di case di fango, che mi ricordano molto i villaggi yemeniti, con porte e finestre intagliate nel legno. Ogni tanto sbuca da un vicolo un uomo o una donna in sella ad un asino!
Fa caldo e “il cencio” in testa mi infastidisce. Ricordo l’intervista alla scrittrice franco-algerina Assia Djebar che raccontava come a Parigi, e a New York, amava scrivere seduta ai tavolini dei caffè in strada, col suo PC portatile, col vento tra i capelli. Un piacere del corpo femminile che qui, come nell’Algeria di allora, è negato.
Finalmente Esfahan, con la sua “Piazza Reale o Naghsh-e Jahan” una delle più grandi del mondo e, sicuramente tra le più affascinanti. Il colpo d’occhio è abbagliante: l’azzurro del cielo e quello delle cupole, l’oro dei disegni, l’acqua nella grande vasca centrale, rose e fiori intorno, Le aiuole fiorite e i riflessi degli spruzzi dell’acqua della fontana riflettono la luce in ogni dove. I bambini fanno il bagno nella grande vasca nudi, le bambine vestite! Le famiglie trascorrono ore serene all’ombra, in riposo, preparando il pic nic serale. Tutto intorno, sotto i portici, il bazar dalle mille mercanzie.
Questa piazza raggruppa i quattro elementi del potere ai quattro lati della piazza: la moschea reale quello “religioso”, il bazar quello “economico”, il Palazzo Ali Ghapu quello “politico”, la Moschea Sheikh Loftollah, con la cupola color crema quello “culturale”. Per questo la piazza era utilizzata per vari scopi: campo per il gioco del polo, piazza del mercato, spianata per le parate ufficiali, spazio per feste religiose e festeggiamenti reali. Attualmente è sotto la protezione dell’UNESCO.
Il giorno dopo visitiamo la Moschea Masjed-è Jame, con la pianta ottagonale, per coniugare la forma del cerchio con quella del quadrato, il cielo e la terra, un po’ come negli stupa buddisti! L’armonia perfetta di queste forme e colori, ci parla di una grande maestria di architetti e artigiani e dell’amore per la bellezza dei sovrani. Perfette, eleganti, simmetriche. I mosaici delle pareti al loro interno sono state realizzate “a mosaico rotto” cioè ogni pietra, di ogni colore, è stata tagliata secondo il disegno e cotta nel forno a temperature diverse.
Propria dell'architettura musulmana è il Muqarnaṣ, una soluzione decorativa originata dalla suddivisione della superficie delle nicchie angolari raccordanti il piano circolare della cupola con il quadrato o il poligono di base, in numerose nicchie più piccole. Il colpo d'occhio è un rimando di tonalità diverse di azzurro e turchese, con luci e ombre che si alternano nella volta.
In Iran vivono circa cinquantamila zoroastriani, soprattutto ad Esfahan dove esistono anche diciassette sinagoghe. Insieme a loro, sono riconosciute le comunità armena e assira fin dal 1906, ed hanno delle piccole rappresentanze in parlamento.
Su consiglio della guida Shirin, visitiamo il nuovissimo museo della musica, aperto da pochi mesi e realizzato a cura e spese di due privati, musicisti. Con la loro passione mi hanno spiegato strumenti e melodie. Proseguiamo la visita di alcuni degli antichi ponti che attraversano uno dei più importanti fiumi dell'Iran, lo Zayande-Rud, che nasce dalla Montagna Zardukuh e attraversa Esfahan: il Si-o Se, il Khaju o Ponte Reale, dove, nella parte inferiore si hanno delle scanalature dove s'infilavano delle tavole di legno per controllare il flusso dell'acqua, come una diga e che i bambini utilizzano per fare il bagno, divertendosi a farsi scivolare nell'acqua. Le famiglie trascorrono il tempo sotto la frescura degli alberi del giardino adiacente. Come al solito le donne iraniane mi chiedono una fotografia con loro! Lungo le strade di ogni città notiamo drappi di stoffa ovunque con le fotografie dei “martiri”, cioè degli iraniani morti nella guerra contro l’Iraq, i ricordi di morte sono ovunque.
Proseguiamo per Nain, dove le costruzioni hanno il colore della terra, mattoni e argilla, e poi una ghiacciaia. Infatti Nain si è formata attorno alle cisterne, così importanti in un ambiente desertico. Questa città è famosa anche per i suoi tappeti, ispirati ai colori della natura: giallo, il sole, il beige, la terra e il blu, il cielo.
Infine ecco un vecchio caravanserraglio. Possiamo immaginare le carovane lungo la Via della Seta che sostavano qui, dopo aver attraversato montagne e deserti, per cercare ristoro e frescura per uomini e animali.
In serata finalmente a Yazd, il cui nome significa “festeggiamento e devozione” nella lingua persiana antica, ed è il centro dello zoroastrismo in Iran ed è la città più antica di questo paese. L'intera zona è famosa per i suoi badgir, torri del vento, attraverso le quali in estate si cerca di trarre profitto da ogni soffio di brezza. Le case sono costruite in adobe, mattoni di fango.
L'indomani mi arrampico fino alle Torri del Silenzio, sulla sommità di due colline, dove un tempo gli zoroastriani lasciavano i cadaveri dei defunti in pasto agli avvoltoi, così da non contaminare l'aria col fuoco o la terra con la sepoltura. E poi il tempio con il fuoco eterno.
Finalmente il Bazar è aperto, e, nonostante il mio piccolo appartamento ne sia ormai ricoperto integralmente, non ho resistito e acquisto un piccolo tappeto persiano! “Un tappeto è un'opera d'arte che ha il particolare vantaggio di attrarre anche il gusto più impreparato: non è un ornamento inutile, ma un oggetto necessario e, inoltre, la simmetria del suo disegno soddisfa l'umana predilezione per la ripetitività delle forme. (…) Solo gli artigiani sono rimasti fedeli alla tradizione. Gli artigiani non sbagliano. (2).
Pernottiamo la sera al caravanserraglio Zein-o-Din, del XVII° sec. Un cortile centrale con le nicchie coperte di tappeti, come sempre, le camere ricavate da stanze in mattoni. Sul tetto, dopo cena, gusto di nuovo il piacere del vento tra i capelli! Aspettando pazientemente finalmente potremo farci baciare dalla luce lunare e dalle stelle. “Nel firmamento è apparsa all'alba una Luna. E' scesa dal cielo e ha rivolto a me lo sguardo,” scriveva il poeta sufi Halal al Din Rumi.
Nuova meta Kerman, a più di 1700 metri sopra il livello del mare, anche qui in zona desertica. La Moschea del Jame ha scintillanti piastrelle blu. Qui sorge il mausoleo dei dodici himam, di cui il dodicesimo ancora deve arrivare. In questi giorni si avvicina la sua festa e in strada in molte città offrono da bere acqua di rose e biscotti.
Nel bazar entriamo in una sala da tè tradizionale con musica dal vivo. In un'alcova varie studenti universitarie cantano e battono le mani, seguendo la loro musica preferita. Mi unisco a loro, che sono molto felici, ci scambiamo baci, foto e indirizzi mail. Quella musica è fatta per ballare ma qui è vietato alle donne in un luogo pubblico misto! Ma questo il corpo non lo sa…
L'indomani mattina ci aspetta il Deserto di Kalut, tra alte formazioni rocciose erose dal vento. Ancora cerco il silenzio. Poi la cittadella “ Arg” di Rajen, una Bam in miniatura che comunque ci offre bei paesaggi.
Sosta al villaggio di Maymand, con le sue grotte di più di duemila anni! Ora ci abitano solo quaranta persone, i giovani se ne sono andati. Sembrano i Sassi di Matera nelle foto del dopoguerra! Esploriamo il villaggio e prendiamo possesso delle nostre camere-grotte!
Dopo la cena abbondante eccomi in strada per vedere stelle, pianeti e costellazioni. Scorgo anche due stelle cadenti. Poi, da dietro la collina, sorge la luna. Improvvisamente mi viene in mente una ninna-nanna che mi cantava mia madre da piccola, così inizio a canticchiarla sottovoce.
Ed eccomi a Shiraz, un tempo capitale dell'Iran. Grazie ai suoi numerosi artisti e poeti la città è sinonimo di cultura, poesia e rose. Infatti la Moschea Masjed-è Vakil, o moschea del reggente, è più conosciuta col nome la Moschea delle Rose, unica nel suo genere, con le piastrelle rosa e non blu, con migliaia di rose di ceramica! “Fiori che spumeggiavano sui muri, rosa, bianchi come un velo, una nuvola leggera che, lanciata in aria sia rimasta impigliata tra i pioppi e le cupole azzurre” (3).
Prossima meta il Giardino delle Arance, il Bagh-e Naranjestan, e un'altra moschea, con le pareti ricoperte di specchi dalla luce verde scuro, scintillante...Molte donne sedute sui tappeti che pregano, altre, più giovani, con in braccio un bambino. Luogo non solo di preghiera, ma di riposo, ristoro, meditazione, solitudine, nel cortile alcune leggono.
Infine il mausoleo del poeta Hafez, poeta molto amato, luogo sempre affollato da coppie di innamorati, famiglie, bambine che recitano le sue poesie davanti ai genitori orgogliosi. Qualche anziana donna carezza dolcemente il sarcofago del poeta con una mano rugosa. Sembra che se vai al mausoleo la prima volta e chiedi una grazia ad Allah, il poeta interceda per te.
Qui le donne sono vestite in vari modi, chador nero o jeans attillati con sopra un leggero “spolverino”, tacchi a spillo e foulard che copre appena metà del capo, trucco perfetto e vistoso o visi seminascosti, tonalità del nero e grigio o colori sgargianti. Come non amarle!
E poi ci dirigiamo per Persepoli, con una breve sosta alle quattro tombe degli antichi sovrani, in ordine da sinistra a destra, Dario II°, Artaserse I°, Dario I° e Serse. Esse si elevano sulle rocce imponenti, come i loro regni. Questi nomi per me erano “solo” ricordi di atlanti storici studiati a scuola, con le frecce colorate che indicavano le guerre, le conquiste, le disfatte, ora diventano realtà di un’antica civiltà che ha calpestato questo suolo, ha abitato questi luoghi, ha eretto queste tombe.
Persepoli, altro mitico nome, come Palmira, Petra, Atene, Pompei… In iraniano il suo nome è Takht-è Jamshid o Trono di Jamshid, dal nome di uno dei mitici re persiani. Si erge su un altipiano e quando arriviamo lo spettacolo è impressionante.
I lavori di restauro sono stati condotti da iraniani e italiani insieme. Persepoli era la “sede di rappresentanza” di Dario I°, che morì prima che fosse terminata. La Porta di Serse è la prima che attraversiamo, l’ingresso sud porta al complesso dell’Apadana, il palazzo dove il re riceveva i visitatori e dove si celebrava il capodanno iraniano. La scala è decorata con i tori a due teste e ogni bassorilievo rappresenta uno degli antichi popoli che abitavano il mondo allora conosciuto. Dietro c’è il Palazzo di Dario o Tachara, utilizzato come sua residenza privata e il palazzo delle cento colonne, dove risiedeva il tesoro di Dario, probabilmente saccheggiato da Alessandro Magno nel 330 a.C. che pose fine all’impero persiano e massacrò gli abitanti dell’insediamento. Gli storici greci citano lo straordinario “bottino di guerra” di centoventimila talenti d’argento, ottomila d’oro, una quantità impressionante di gioielli e preziosi vasi. Alla fine incendiò la città perché, come scrisse lo storico Arriano, Alessandro volle punire i Persiani per le loro invasioni della Grecia!
La “Porta di tutti i Popoli” porta un’incisione scolpita: “Serse, il grande Re, dichiara: io ho costruito questa Porta di tutti i popoli e molti altri edifici eretti da me e da mio padre. Quello che abbiamo costruito di bello è stato per ispirazione divina. Serse il grande Re dichiara: Ahuramaz protegga me e il mio regno, protegga quello che ho costruito io e che ha costruito mio padre” (3).
Tra i bassorilievi scolpiti le Guardie Reali, in costume persiano, con intorno alla testa una fascia per tenere fermi i capelli, chiamata “Mitra”. Le delegazioni tributarie che arrivavano a Persepoli provenivano da molti paesi del medio ed estremo oriente, e anche dall’Africa ed Europa, con vari doni: cammelli, leoni, avorio. Si riconosce ogni popolo dagli abiti che indossa, Ognuno poteva seguire i propri culti e usanze.
Il viaggio si conclude con Pasargarde, dove è posta la Tomba di Ciro, semplice a austera nella sua grandezza.
Ma oltre alle meraviglie viste, è l’ospitalità e la cordialità delle persone incontrate, i sorrisi delle donne, che ha reso questo viaggio memorabile.
La realtà, come sempre, ha tante sfumature.
Letizia del Bubba
[caption id="attachment_9703" align="alignnone" width="603"]
Note
- Da Tutte le strade sono aperte. Viaggio in Afghanistan 1939-1940” di Annemarie Schwarzenbach ed. Il Saggiatore 2015, pag. 56.
- Da “Passaggio a Teheran” di Vita-Sackville-West ed Il saggiatore 2003, pag. 91-92
- Da Passaggio a Teheran, cit
- Da “guida ragionata di Persepoli” di A.Shapur Shahbazi, pag. 42