LA VIA DELLA SETA. Xjnyang CINA 1996 - PARTE II°

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La frontiera tra Pakistan e Cina è a Pirali, un classico paese di frontiera, con camionisti cinesi e pakistani che giocano a biliardo lungo strada. Qui montiamo su una jeep collettiva che è il mezzo di trasporto pubblico per oltrepassare la frontiera e arrivare a Taskurghan a 3600 metri, primo avamposto dello Xjiniang.  E’ una città in mezzo ad un deserto di roccia ed è abitato da popolazioni Tagike. Così la descrive la viaggiatrice e scrittrice svizzera Annemarie Schwarzenbach. “Dietro le alte mura del giardino vidi una catena di monti azzurri, meravigliosa, che non sembrava appartenere a questo mondo ma al cielo notturno. (…) Rimasi estasiata da una così stupenda visione, non ero curiosa, ma il capo della polizia di Tash Kurghan me lo disse comunque: là, a sud, disse, c’era la prima catena di monti dell’Hindukush.”(1). Lungo strada abbiamo visto i nomadi dai tratti somatici mongoli, yak al pascolo e il Muztagh Ata, “il padre delle montagne ghiacciate”, alto 7540 metri. Siamo nello stato cinese dello Xinjiang, grande tre volte la Francia, con la popolazione a maggioranza musulmana che vorrebbe l’indipendenza. Formalmente gode di forte autonomia ma nella realtà Pechino controlla tutto, come in Tibet (2). In questa provincia autonoma vivono iuguri, tartari, uzbechi, manciù, russi, mongoli, kirghisi e kazaki. Da Taskurghan con un vecchio autobus ci rechiamo a Kashgar, chiamata anche Kashi, che ha oltre duemila anni di storia, ed era il centro delle vie carovaniere. Era uno stato buddista che poi passò all’impero cinese sotto la dinastia Tang. Poi si formarono vari regni musulmani e negli anni Trenta del XX°sec. la repubblica Musulmana Indipendente del Turkestan, riconquistata dai cinesi con la nascita della Repubblica Popolare. Nella parte vecchia della città le case sono ancora costruite con mattonelle di fango. Visitiamo la Moschea Aidkah del 1442 e la tomba di Abakh Khoya del 1640, in restauro, che racchiude il sarcofago del sovrano e delle sue mogli. L’alto minareto, la voce del muezzin che richiama i fedeli, gli anziani nei loro compositi stivali di pelle, gli orafi che martellano incessantemente coi loro piccoli arnesi per creare gioielli d’oro e d’argento, i venditori di coltelli che magnificano i loro articoli affilati a mano. E’ domenica in uno dei mercati più famosi del mondo, senz’altro uno dei più mitici. Arrivano i proprietari di buoi, pecore, cavalli, asini. I potenziali acquirenti scrutano, tastano, carezzano gli animali. Il cavallo va provato per un breve trotto. Alle pecore si controlla la parte posteriore del corpo. E’ un crogiuolo di umanità. Gli iuguri sono di lingua turca, discendenti delle tribù che vivevano lungo il lago Baikal. Intorno a noi il deserto del Taklumakan che in lingua iugura significa “entra e più tornerai”, per gli antichi cinesi noto come “sabbie semoventi”. Urumqi è la capitale dello Xinjiang, il suo nome significa “bel pascolo” e in origine era un grande centro di allevamento. Ora è una moderna metropoli con alti grattacieli e superstrade. A duemila metri si trova il Lago Celeste con iurte e piccoli templi buddisti.

Note

1-Da Viaggio in Afghanistan 1929-1940, di Annemarie Schwarzenbach, ed Il Saggiatore 2015 pag. 57

2-  Attualmente ci sono molti campi di prigionia per la popolazione iugura ed è stato proibito l’insegnamento della loro lingua nelle scuole.

Testo e Foto di Letizia Del Bubba

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mercato Kasghar
Photo@Credits by Letizia Del Bubba[/caption]

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