Settembre 1984
ORIGINI E LEGGENDA Ancora oggi, l’unica strada per raggiungere le valli dei Kalash Kafir, partendo da Chitral, si presenta come un’alta via di montagna, scavata nella roccia freatica degli aspri monti della catena dell’Indukush. Grazie a tutto ciò, questo popolo è riuscito a rimanere incontaminato ed etnicamente puro. Queste vie consentono ai profughi afghani in fuga dalla guerra e sconvolti dalle bombe dei sovietici l’accesso al Pakistan. Dopo essere stato convertito all’Islam da parte di Abdur Rahman più di un secolo fa, il confinante Nooristan Afghano faceva parte dei territori Kalash. Percorrendo venticinque miglia di sterrato polveroso in un continuo saliscendi, la pista a volte corre lungo il letto dei torrenti asciutti, insinuandosi attraverso scoscese gole e alte fenditure, per poi sfociare infine nelle tre valli di Rambur, Birir e Bumboret, dove pare che il tempo si sia fermato, come per incanto. Sino al secolo scorso, leggende e fantasie, volevano questa etnia, discendente da una legione di Alessandro il Macedone, perdutasi fra questi monti più di duemila anni orsono; tale romantica versione fu resa famosa da Rudyard Kipling nel suo libro “L’uomo che volle farsi re”. A conferma di questa tesi, le fotografie di uomini biondi dagli occhi azzurri che sporadicamente scendevano nelle valli meridionali del Chitral venivano accostate ai profili ellenici delle monete Alessandrine. In effetti questo popolo, così diverso linguisticamente, fisicamente e culturalmente da quelli circostanti, ha origini assai più antiche: essi sono gli eredi diretti dei primi indoeuropei che, discesero dalle steppe dell’Asia centrale verso il subcontinente indiano durante il paleolitico.
RELIGIONE ED ESISTENZA In questo remoto ed inaccessibile angolo di mondo, i Kafiri, termine che in arabo significa infedele, sono riusciti a conservare sino ai nostri giorni le loro tradizioni, resistendo alla penetrazione musulmana. Praticano ancora oggi un paganesimo ancestrale fatto di animismo, che comprende il culto degli antenati e l’adorazione del fuoco, e conducono uno stile di vita gioioso e molto semplice in totale sintonia con la natura circostante. A differenza delle popolazioni del deserto e delle oasi del centro Asia, i Kalash Kafir vivono nelle loro valli un’esistenza di tipo alpino; il legno è l’elemento principale dei loro manufatti, dagli attrezzi di lavoro, alle abitazioni. I villaggi sono costruiti sul fianco scosceso della montagna: il tetto della casa sottostante, funge da terrazzo e cortile a quella che la sovrasta e il legno resinoso, ricavato dalle pinete circostanti è il mezzo per riscaldarsi durante le notti più fredde.
TRADIZIONI Gli uomini Kalash vestono rozzi camicioni di tipo “shilvar camis” simili agli abiti dei confinanti musulmani; in testa portano il classico cappello chitrali di lana, che viene impreziosito da un fiore o da piume “Pakol”. Le donne indossano delle lunghe tuniche nere, che ricordano le vesti degli antichi greci.
Ma è all’acconciatura dei capelli che le donne prestano una cura particolare: una grossa treccia parte dal centro dell’attaccatura dei capelli, gira da un lato della testa per scendere dietro la nuca lungo la schiena, il resto dei capelli è raccolto in tantissime treccine trattenute all’indietro da un curioso copricapo circolare con una coda che scende anch’essa lungo la schiena “kupas”. Questo strano cappello è, interamente ricoperto da piccole conchiglie e da una miriade di bottoni colorati e di altri piccoli oggetti a formare graziosi motivi geometrici come una gaia cascata di colori. Amano inoltre adornarsi il collo e ricoprire il petto con centinaia di collanine di diversa lunghezza in osso intarsiato e perline multicolori.
Le donne Kalash sono generalmente di carattere estroverso ed allegro. Gli uomini, più schivi con gli estranei rispetto alle loro compagne, si dedicano all’aratura dei terreni ed alla costruzione delle case e dei ripostigli per le scorte alimentari, nonché al taglio degli alberi ed al trasporto del legname a valle attraverso le vie d’acqua. I Kafiri sono un popolo allegro, amante della musica, suonando flauto e percussioni. È un fatto singolare che i Kafiri producano vino, proibito in tutto il resto del paese islamico; il vino Kafiro è un vinello giovane. Se ne possono gustare due diverse qualità: uno dolce e mielato, l’altro un poco acidulo e dal vago sapore di more. I Kalash non amano sentirsi chiamare “Kafir“ cioè infedeli. Infatti, se vengono apostrofati in quel modo, rispondono subito con la parola araba “hasad” cioè liberi.
RUOLO DELLA DONNA Le donne Kalash, a differenza di quelle musulmane, sono molto libere, non usano nessuna forma di velatura del volto, hanno il diritto di risposarsi e partecipano ai momenti più significativi della vita della comunità. Si esibiscono in canti e danze rituali in occasione delle loro feste religiose, la più importante si svolge in primavera il Chilam Joshi festival, per celebrare la fertilità. Altra antica tradizione Kalash, presente anche oggi, è quella che impone alle donne durante il ciclo mestruale e al momento del parto, di recarsi nella casa riservata alle donne, posta al limite del villaggio “Bashelini', una sorta di gineceo.
SEPOLTURA I morti Kalash vengono ora sepolti e interrati alla maniera dell’Islam, quasi certamente sotto pressione del governo pakistano. Sino a dieci anni fa, invece, donne e uomini venivano adagiati in una massiccia cassa di legno intarsiata, le prime adorne dei loro gioielli, i secondi accompagnati dai loro attrezzi di lavoro; la cassa era appoggiata su dei sassi e sospesa da terra di una quindicina di centimetri, rinchiusa poi con una semplice asse a mo’ di coperchio. Il corpo esposto ai venti secchi di quelle altitudini, si mummificava così naturalmente. Il luogo sacro della sepoltura era situato sul versante opposto al villaggio, dall’altra parte del fiume.
ARTE LIGNEA Purtroppo, a causa della rapacità dei mercanti d’arte, non resta più nulla delle sculture lignee, delle effigi equestri, delle rappresentazioni mitiche dei cavalieri in groppa ad animali a due teste. Il fatto curioso è che il cavallo non vive in Kafiristan, dove c’è scarsità di foraggio. La rappresentazione lignea del defunto, in tempi ancora non troppo lontani, serviva a uno scopo ben preciso: le sculture stilizzate degli antenati venivano collocate tra i partecipanti alle riunioni dei clan Kalash, quali muti testimoni delle decisioni che venivano prese.
ISTRUZIONE ODIERNA E SALUTI Il governo del Pakistan ha fatto costruire scuole e inviato insegnanti, per permettere ai giovani Kalash di imparare a leggere e scrivere. Il primo testo essenziale è il Corano.
In un prossimo futuro questo popolo sarà probabilmente costretto a sostituire il suo antichissimo saluto “Spaata!” salute, con “Assalam Aleikum” e pregheranno rivolti alla Kaaba. Di certo i loro figli non saranno più dei Kafiri.
Ed è con un certo rammarico ed una velata tristezza che saluto, prima di partire, questi figli della natura, avviati verso l’inesorabile abbandono delle loro tradizioni e culti ancestrali, questa oasi di pace e armonia, la Shangri-La dei nostri cuori, grazie alla quale ho avuto il privilegio di rivivere gli echi degli avvenimenti non scritti del passato del genere umano.
TESTO E FOTO DI ROBERTA PEDON
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