Siamo a Lahore, capitale del Punjab pakistano e crocevia, fin dall’antichità, delle principali arterie di comunicazione con Delhi, Kashmir, Afghanistan e Belucistan, condizione che nel corso dei secoli l’ha messa al centro delle mire espansionistiche degli eserciti invasori il cui passaggio è testimoniato dalla presenza di vestigia storiche tra cui la cittadella di Shihi Qila, altrimenti nota come Forte di Lahore, contenente all’interno palazzi in marmo e moschee decorate con mosaici e dorature che nel 1981 le sono valsi l’iscrizione nelle liste dell’UNESCO.
Secondo la leggenda, la città di Lahore sarebbe stata fondata dal principe Lava, figlio di Sita e Rama, e il suo nome deriverebbe da Lavpur o Lavapuri che tradotto significa Città di Lava; le versioni accreditate dagli storici la identificano invece con l’antica Sagala fondata da Alessandro Magno durante la marcia di conquista verso Oriente.
La storia del Forte di Lahore – situato nell’angolo nord-est della cinta muraria, vicino al fiume Ravi – è lunga e complessa, frutto di numerose ricostruzioni.
Se ne parla per la prima volta nelle cronache dallo scienziato persiano al-Bimini (1021); nel XIII secolo, durante l’invasione dei Moghul, fu distrutto e ricostruito secondo i canoni estetici del nuovo Impero, arricchito di motivi floreali e disegni geometrici che lo resero un’opera d’arte a tutti gli effetti.
La fortezza che ammiriamo oggi risale al XVI secolo ed è opera dell’imperatore Akbar e del figlio Jahangir che sostituirono i mattoni crudi in argilla con i mattoni cotti per renderla più resistente agli attacchi dei nemici mentre i successori, Jahan e Aurangzeb, ampliarono la cinta muraria e introdussero numerosi edifici tra cui la Moschea delle Perle e la Sala degli Specchi, i cui muri rivestiti di frammenti di vetro colorato.
Il Forte di Lahore fu lasciato in balia di se stesso fino all’arrivo dei Sikh, nel 1768, quando tornò a rivestire il ruolo di protagonista: il fondatore della nuova dinastia lo elesse residenza principale e introdusse importanti modifiche per adattarlo alla funzione abitativa, tra cui la costruzione del muro di contenimento per preservarsi dal rischio di inondazioni dal vicino fiume.
Nel XIX secolo l’edificio fu al centro delle sanguinarie lotte intestine dei Sikh che decretarono il danneggiamento e la distruzione di buona parte della struttura, oltre al saccheggio del mobilio interno, mentre sotto gli inglesi, che conquistarono il Punjab nel 1849, fu adibito a quartier generale dell’esercito che lo riportò in vita, modificando le vecchie strutture per adeguarle alle nuove esigenze.
Nel 1927 la fortezza fu definitivamente abbandonata e dobbiamo ringraziare il Dipartimento di Archeologia, che avviò il restauro eliminando le aggiunte con il proposito di riportarlo al progetto originario, se oggi possiamo ammirare questo patrimonio artistico nel suo antico splendore.
I giardini del parco, voluti dall’Imperatore Moghul Shah Jahan (lo stesso che fece costruire il Taj Mahal di Agra) come luogo di svago e costruiti su tre terrazze con logge, fontane, cascate e laghetti ornamentali, assunsero il nome Shalimar che tradotto significa Casa della gioia.
Diana Facile