Di cielo e di vento (Mongolia-Cina del nord 2006) I° parte.
Ulan Batoor: il Palazzo d’inverno di Bogd Khan, dove visse l’ottavo Buddha vivente e l’ultimo re della Mongolia. Il Monastero di Gandantegchinlen Khiid, in stile tibetano, tetto colorato mongolo, simboli tibetani dei due cervi e la ruota. Il salmodiare dei monaci è frammezzato dal suono dei cembali. Vari recipienti col burro chiarificato per le offerte. I libri delle preghiere accatastate davanti ai monaci più anziani. Dal soffitto pendono teloni di stoffe variopinte. E poi via, verso le grandi pianure. Spazi immensi, fiori, bambini e bambine a cavallo “a pelo” cioè senza sella. Vari ovoo, cumuli di pietre e altro materiale a forma di piramide eretti in cima a colline e valichi. Deriva dalla tradizione sciamanica e rappresenta una specie di offerta agli dèi. Gli ovoo sono sacri e nelle vicinanze non si può scavare, cacciare o tagliare legna. Si deve girargli intorno in senso orario tre volte aggiungendo una pietra in offerta. Mentre compio i miei giri di buon auspicio mi sento colma d’amore per l’universo! Poi cavalli e cavalieri, finalmente liberi qui, animali e umani!
“I nomadi non sono astrazioni filosofiche. Fanno una vita improntata a stabilità e ripetitività. Qualsiasi cambiamento può condurre alla morte. Tutti i movimenti e tutte le regole sono determinati dalle esigenze fondamentali di sopravvivenza nelle condizioni più estreme. L'endogamia li sta uccidendo e il contatto con il mondo esterno, dopo la caduta del comunismo all'inizio degli anni novanta, ha semplicemente rivelato loro la miseria in cui vivono.” (nota 1).
Nelle vicinanze di Erdenedalai sorge il monastero Gimpil Darjaalan Khiid del XVIII sec. costruito in onore alla prima visita in Mongolia del Dalai Lama, un tempo ospitava circa 500 monaci, ora ridotti ad una ventina che vengono qui 3 o 4 volte al mese. Non è stato ancora restaurato e forse per questo è più affascinante. Per il resto del tempo attraversiamo la pianura mongola e, nel tardo pomeriggio, arriviamo al campo di gher.E’ il tramonto, poi la luna si alza, la notte le stelle trafiggono il cielo, un silenzio assoluto regna intorno a noi. In questa terra di cavalieri conquistatori un cielo azzurro ci avvolge il giorno, come un lenzuolo di seta. Il vento sferza i nostri visi, il sole brucia la nostra pelle. Pascoli infiniti e morbide dune, colori pacati, stelle notturne, ogni giorno è magia.
Prossima meta il parco nazionale di Gurvansaikhan, cioè “le tre bellezze” che sono i tre crinali di montagne che conservano resti fossili di dinosauri, dune di sabbia, formazioni rocciose e una valle che stranamente ghiaccia anche col caldo! Prossima meta le dune Moltsog Els e Honoe Els. Con una fatica incredibile arrivo fino in cima. Il panorama che si vede da lassù ripaga però lo sforzo. E’ finita la benzina su 2 furgoni, così il terzo va con delle taniche a carcarla. Noi rimaniamo sdraiati sotto i furgoni, unica zona di ombra, per 5 ore! Al campo di Olgy visitiamo i resti della cittadella tempio del XVII sec. e arriviamo a Charcori. Visita al complesso di Erdene Zuu, che significa “cento tesori”. Fu il primo monastero buddista costruito in Mongolia nel 1586. Ora sono rimasti solo tre templi, dedicati alle tre tappe della vita del Buddha (infanzia, adolescenza e maturità) e 108 stupa, comunque molto belli. Assistiamo anche ad una funzione, fuori dal monastero due giovani monaci richiamano i fedeli suonando dentro una conchiglia. Di nuovo a Ulan Batoor assistiamo ad uno spettacolo di musiche e danze tradizionali: canti, di gola, l’oomi, con un’intera gamma armonica prodotta dal profondo della laringe, della gola, dello stomaco e del palato. La Mongolia mi ricorda un po’ una terra di mezzo, in parte una cultura delle steppe russe, in parte l’incontro con la cultura manciù.
Note: 1 Da “Mongolia” di Bernardo Carvalho, ed. Feltrinelli traveller 2005.
Testo e foto di Letizia Del Bubba
[caption id="attachment_11212" align="alignnone" width="615"] Photo@Credits by Letizia Del Bubba[/caption]